L’inadempimento contrattuale.

Siccome la questione dell’inadempimento, nel periodo di chiusura previsto per l’emergenza pandemica, si è presentata per il tema della locazione commerciale, così come per quanto riguarda i contratti di somministrazione, si forniscono alcune indicazioni che potrebbero essere utili.

Innanzi tutto, la prima qualificazione rispetto al mancato pagamento di canoni o fatture, nel periodo di chiusura per il rispetto della normativa vigente, potrebbe essere quella dell’impossibilità sopravvenuta temporanea, per una causa non imputabile al debitore, ai sensi del secondo comma dell’art. 1256 c.c..

In questo senso l’evento dell’emergenza epidemiologica potrebbe essere ritenuto riconducibile ad una causa di forza maggiore che, com’è noto, rappresenta una causa di non imputabilità di inadempimento.

In secondo luogo, si potrà considerare anche quanto espressamente previsto dall’art. 91 del d. l. 18/2020, convertito nella legge n. 27/2020, il quale ha previsto l’integrazione dell’art. 3 del d. l. 6/2020 introducendo il comma 6 bis, ossia che: “Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.”.

Però, non v’è dubbio alcuno che queste qualificazioni ed interpretazioni debbano essere considerate valutando sia il contratto de quo che il presunto inadempimento, perché qualora l’inadempimento riguardi questo periodo di chiusura forzata, dettato dall’emergenza epidemiologica, si potranno trovare argomenti atti a convincere non soltanto l’altra parte contrattuale ma, con tutta evidenza, anche un Giudice mentre, invece, qualora l’inadempimento riguardi anche periodi antecedenti alla chiusura sarà più complicato trovare un giusto contemperamento degli interessi.

Vessatorietà della clausola penale nel contratto di mediazione.

In una recente pronunzia della Suprema Corte di Cassazione, è stato considerato il tema delle clausole vessatorie nei contratti stipulati tra agenzia di intermediazione immobiliare e clienti.

Nel caso di specie si trattava di una clausola che obbligava il cliente, qualora avesse esercitato il diritto di recesso prima della conclusione dell’affare, a corrispondere una penale pari all’1% del prezzo stabilito per la vendita.

Nel caso de quo, la Corte ha considerato che la clausola possa essere considerata vessatoria, quando: “la clausola del contratto che riservi al mediatore, in caso di recesso anticipato del preponente, una penale commisurata al prezzo di vendita del bene, indipendentemente dall’attività di ricerca di acquirenti che il mediatore abbia concretamente svolto per la conclusione dell’affare, non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto o al corrispettivo, nel senso di cui all’art. 34, comma 2, c. cons., e non si sottrae pertanto alla valutazione di vessatorietà, che il giudice è tenuto a compiere d’ufficio, sia al fine di verificare se la clausola determini un significativo squilibrio a carico del consumatore dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, ex art. 33, comma 1, c.cons., sia per il suo potenziale contrasto con l’art. 33, comma 2, lett. e), c. cons.” ed anche quando: “ si presume vessatoria la clausola che consente al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest’ultimo non conclude il contratto o recede da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest’ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere.” (Cass. Civ. Sent. n. 19565/2020).

E’ importante, quindi, per quanto riguarda il compenso del mediatore, sia nell’ipotesi che non si addivenga ad una conclusione dell’affare che nell’ipotesi di una clausola penale o risarcitoria, considerare se il compenso od altro trovi giustificazione nello svolgimento di una concreta attività rivolta a trovare soggetti terzi interessati alla conclusione dell’affare.

La prescrizione degli interessi.

Siccome recentemente mi è stata sollevata nuovamente una eccezione di prescrizione quinquennale (ex art. 2948 n. 4) c.c.) relativamente agli interessi conteggiati ex D. Lgs. n. 231/2002, sono a chiarire la posizione dello studio, suffragata dall’accoglimento del motivo dell’appello proposto in una recente pronunzia della Corte d’Appello.

L’eccezione formulata da controparte riguardava il fatto che gli interessi moratori richiesti risultassero dovuti soltanto nei limiti di quelli non prescritti ai sensi dell’art. 2948 n. 4 c.c., atteso che la norma si riferisce genericamente a “gli interessi” e, pertanto, appariva applicabile anche in relazione agli interessi moratori previsti dal D. Lgs. 231/2002.

Atteso come il criterio di periodicità degli interessi non sussista per gli interessi moratori, previsti per il ritardo nel pagamento del prezzo in ambito commerciale, la Corte d’appello ha ribadito l’orientamento della Cassazione, e di attenta giurisprudenza di merito, ed ha ritenuto non applicabile la prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 4) c.c. ma la prescrizione decennale come eccepito da questo studio.