Cessione del credito bonus edilizi.

Con l’art. 28 del d l. n. 4/2022, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 27 gennaio 2022, il Governo ha introdotto una nuova disposizione in materia di cessione del credito rispetto ai bonus edilizi.
Ha provveduto alla modifica dell’art.121 del d. l. 34/2020 limitando la possibilità della cessione del credito ad una sola volta, dopo la cessione ai soggetti indicati dalla norma, e “senza facoltà di successiva cessione”.
Inoltre, nel secondo comma, dell’art. 28 ha previsto che: “I crediti che alla data del 7 febbraio 2022 sono stati precedentemente oggetto di una delle opzioni di cui al comma 1 dell’articolo 121 del decreto-legge n. 34 del 2020, ovvero dell’opzione di cui al comma 1 dell’articolo 122 possono costituire oggetto esclusivamente di una ulteriore cessione ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari, nei termini ivi previsti.”
La ratio della disposizione de quo andrebbe ricercata nell’intento di limitare la possibilità di rischio di frodi, ovvero di riciclaggio per il Superbonus e per le detrazioni, rischio segnalato quasi un anno fa.
Infatti, non può essere omesso come il rischio di frodi o di riciclaggio sia stato prontamente segnalato dall’Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia della Banca d’Italia, la quale aveva indicato quali comportamenti potessero essere rapportati ad illeciti fiscali.
Infatti, l’Unità segnalava come “In relazione a detti crediti vanno considerati i rischi connessi con: i) l’eventuale natura fittizia dei crediti stessi; ii) la presenza di cessionari dei crediti che pagano il prezzo della cessione con capitali di possibile origine illecita; iii) lo svolgimento di abusiva attività finanziaria da parte di soggetti privi delle prescritte autorizzazioni che effettuano plurime operazioni di acquisto di crediti da un’amplia platea di cedenti.”.
Per quanto riguarda il primo punto il governo ha fatto propri i suggerimenti prevedendo il visto di conformità, con le modifiche apportate all’art. 121 dal d. l. 157/2021 e dalla legge 234/2021, in modo da poter intercettare eventuali sospetti di comportamenti rivolti alla creazione artificiosa di tali crediti.
Per gli altri due possibili comportamenti connessi al rischio di riciclaggio, si rileva come il governo abbia preferito non adottare e non fare propri i suggerimenti indicati dall’Unità di Informazione.
Infatti, l’Unità di Informazione dopo aver specificato che: “Per quanto concerne i punti sub ii) e iii), si consideri che i bonus fiscali possono essere fruiti, oltre che sotto forma di detrazione delle imposte dovute o di sconto rispetto al corrispettivo da pagare ai fornitori di beni o servizi (c.d. sconto in fattura), anche cedendo a terzi il credito corrispondente alla detrazione spettante.” suggeriva come, non sussistendo una limitazione dei soggetti ai quali poteva essere effettuata la cessione, di “monitorare le operatività connesse con le richiamate cessioni di crediti fiscali, al fine di evitare che la monetizzazione dei bonus sia realizzata con capitali illeciti. Occorre in particolare calibrare la profonda e l’intensità dei presidi antiriciclaggio, valutando con attenzione il profilo degli eventuali cessionari che entrano in relazione con i soggetti obbligati, intensificando i controlli rispetto a richieste di sconto di crediti acquistati in precedenza, soprattutto se in misura massiva.” ed anche che: “Va inoltre attentamente considerata la circostanza che società o enti siano specificamente costituiti allo scopo di essere impiegati nelle cessioni di crediti fiscali; è possibile che attività della specie siano offerte con carattere di professionalità e a una pluralità indifferenziata di soggetti (per esempio attraverso la costituzione di appositi siti web o la diffusione di messaggi promozionali anche a mezzo di social network) tanto da destare il sospetto che esse siano eserciate nei confronti del pubblico in assenza delle prescritte autorizzazioni.”.
Appare evidente come il governo abbia preferito non fare propri i suggerimenti dell’Unità di Informazione, ossia prevedendo quali soggetti possono essere destinatari della cessione ed intensificare i controlli.

Addebito al marito.

In una recente pronuncia la Suprema Corte ha ribadito l’addebito al coniuge in una separazione a causa di alcuni messaggi amorosi scambiati per via telematica.

Malgrado il marito avesse chiesto la revoca dell’addebito a lui inflitto, chiedendo addirittura l’addebito della moglie e per abbandono del tetto coniugale e per un prelievo di denaro, la Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte d’Appello.

Infatti, la Corte d’Appello aveva accertato come le condotte della moglie non potessero essere considerate ai fini dell’addebito, atteso come la dissoluzione del vincolo derivasse proprio dal tradimento del marito.

Il fatto che il marito avesse scambiato questi messaggi amorosi per via telematica ma li avesse anche confessati anche in via stragiudiziale e che il tradimento trovasse evidenza e nel contenuto dei messaggi, come tale inequivocabile, e nelle dichiarazioni rese dal marito nel corso di un percorso di mediazione familiare, aveva portato alla decisione di conferma della Corte di Appello dell’addebito della separazione nei confronti del marito.

La Suprema Corte ha, pertanto, rigettato tutte le argomentazioni ed i principi di diritto addotti nei motivi del ricorso proposto dal marito ed ha confermato la decisione della Corte di Appello, ritenendo il criterio del decisum logico in quanto lo scambio di messaggi amorosi per via telematica dimostrava l’aperta relazione extraconiugale del marito e giustificava l’addebito.

Usucapione.

La Corte di Cassazione, in una recente pronuncia, ha chiarito come “Il requisito dell’apparenza della servitù, necessario ai fini del relativo acquisto per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, si configura come presenza di segni visibili di opere permanenti obiettivamente destinate al suo esercizio e rivelanti, in modo non equivoco, l’esistenza del peso gravante sul fondo servente, così da rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria, bensì di preciso onere a carattere stabile; (…)” (cfr. Cass. Civ., sez. VI, 06/05/2021, n. 11834).

La Suprema Corte ha chiarito come non sia sufficiente la presenza di una strada ma  che la strada sia stata realizzata per rendere un accesso dal fondo preteso dominante al fondo servente.

Argomenta la Corte come sia necessario un “quid pluris” che possa dimostrare come quella strada o quell’accesso sono stati destinati all’esercizio di quella servitù.

Se ne deduce che laddove non sussista questo “quid pluris” affermato dalla Corte, anche se sussistano segni apparenti della servitù, debba essere negato l’acquisto per usucapione.

Misure Tik Tok

Considerati i provvedimenti adottati dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, la piattaforma Tik Tok si era impegnata ad adottare nuove misure per impedire l’accesso dei più piccoli alla piattaforma.
Malgrado tra il 9 febbraio e il 21 aprile 2021 siano stati più di 12 milioni e mezzo gli utenti italiani ai quali è stato chiesto di confermare di avere più di 13 anni per accedere alla piattaforma e siano stati oltre 500 mila gli utenti rimossi perché probabili minori dei tredici anni di età, l’Autorità ha ritenuto questi interventi non sufficienti considerata la rilevanza degli interessi dei minori.
Perciò l’Autorità ha invitato la piattaforma Tik Tok ad effettuare ulteriori interventi al fine di tenere i più piccoli fuori dal social e la piattaforma si è impegnata a:
– garantire la cancellazione, entro 48 ore, degli account intestati ad utenti al di sotto dei 13 anni di età;
– rafforzare i meccanismi di blocco dei dispositivi utilizzati dagli utenti infratredicenni per provare ad accedere alla piattaforma;
– elaborare soluzioni, anche basate sull’intelligenza artificiale, al fine di minimizzare il rischio che bambini al di sotto dei 13 anni di età utilizzino la piattaforma;
– lanciare nuove iniziative di comunicazione, sia in app che attraverso radio e giornali, per educare a un uso consapevole e sicuro della piattaforma;
– elaborare una nuova informativa realizzata con linguaggio semplice e con modalità interattive e coinvolgenti dedicata agli utenti minorenni;
– condividere con il Garante, dati e informazioni relative all’efficacia delle diverse misure adottate, al fine di collaborare nell’identificazione di misure efficaci e capaci di contenere il fenomeno.
L’Autorità Garante vigilerà sull’adempimento da parte di Tik Tok in relazione agli impegni assunti.

Decreto Legge n. 30/2021

E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 62 del 13 marzo 2021 il decreto legge n. 30 del 13 marzo 2021 ed è vigente dal giorno 13 marzo 2021.

Com’è noto, è stato previsto che nel periodo dal giorno 15 marzo al giorno 2 aprile 2021 e per il giorno 6 aprile 2021 sono applicate le misure disposte dai provvedimenti di cui all’articolo 2 del decreto legge n. 19/2020 per la zona rossa (che interessa la Regione Veneto così come altre Regioni) come previsto dall’art. 1, comma 16-septies, lettera c) del decreto legge n. 33 del 2020.

Perciò, le misure potranno essere adottate per la zona rossa quando sussistano queste condizioni:

A) nelle province in cui l’incidenza cumulativa settimanale dei contagi è superiore a 250 casi ogni 100.000 abitanti;

B) nelle aree in cui la circolazione di varianti di SAR-CoV-2 determina alto rischio di diffusività o induce malattia grave.

In particolar modo, per quanto riguarda le misure da applicarsi in zona rossa, sussiste la limitazione della circolazione delle persone, e, quindi, lo spostamento è limitato nello spazio e nel tempo e viene consentito soltanto per l’allontanamento dalla propria residenza, domicilio o dimora, purché motivato da esigenze lavorative, da situazioni di necessità o urgenza, da motivi di salute.

Per quanto riguarda i giorni 3, 4 e 5 aprile 2021 sono consentite delle deroghe per gli spostamenti anche in zona rossa.

Per quanto riguarda lo spostamento sarà, quindi, quanto meno opportuno predisporre una autocertificazione da esibire in caso di controllo onde evitare l’irrogazione delle sanzioni con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 1.000.

L’attribuzione del cognome.

Era stata sollevata una questione di legittima costituzionale dal Tribunale di Bolzano, in ordine all’accordo di entrambi i genitori di attribuire soltanto il cognome materno. 

La Corte Costituzionale, investiva della questione pregiudiziale, ha ritenuto da un lato la non manifesta infondatezza considerando che: “è rilevabile nel contrasto della vigente disciplina, impositiva di un solo cognome e ricognitiva di un solo ramo genitoriale, con la necessità, costituzionalmente imposta dagli artt. 2 e 3 Cost., di garantire l’effettiva parità dei genitori, la pienezza dell’identità personale del figlio e di salvaguardare l’unità della famiglia;” atteso come si dubitava della legittimità costituzionale della disciplina dell’automatica acquisizione del cognome del padre, come previsto nell’art. 262, primo comma c.c., ossia che <<Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre.>>. 

Che il Supremo Collegio riteneva che: “è stato osservato sin da epoca risalente che la prevalenza attribuita al ramo paterno nella trasmissione del cognome non può ritenersi giustificata dall’esigenza di salvaguardia dell’unità familiare, poiché «è proprio l’eguaglianza che garantisce quella unità e, viceversa, è la diseguaglianza a metterla in pericolo», in quanto l’unità «si rafforza nella misura in cui i reciproci rapporti fra i coniugi sono governati dalla solidarietà e dalla parità» (sentenza n. 133 del 1970); nel caso in esame, ancora una volta, «[l]a perdurante violazione del principio di uguaglianza “morale e giuridica” dei coniugi […] contraddice, ora come allora, quella finalità di garanzia dell’unità familiare, individuata quale ratio giustificatrice, in generale, di eventuali deroghe alla parità dei coniugi» (sentenza n. 286 del 2016);” ed anche che: “«la previsione dell’inderogabile prevalenza del cognome paterno sacrifica il diritto all’identità del minore, negandogli la possibilità di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome materno» (ancora sentenza n. 286 del 2016);”. 

Perciò, ritenendo come sussista il dubbio di legittimità costituzionale che investe l’art. 262, primo comma, c.c., il quale attiene anche alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (Divieto di discriminazione) CEDU; ritenendo che dovessero essere risolte pregiudizialmente le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 262, primo comma, c.c. (per il giudizio instaurato), nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l’automatica acquisizione del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, ha sollevato, innanzi a sé, la questione di legittimità costituzionale. 

Attendiamo, considerato il mancato intervento legislativo sulla questione auspicato dal Supremo Collegio, della risoluzione della questione di legittimità costituzionale.  

Il diritto di riscatto.

La Corte di Cassazione in una recente pronunzia ha affermato un principio riguardante la cessione in proprietà per il riscatto di alloggi residenziali pubblici.

Si tratta del procedimento di cessione in proprietà, il quale è attivato con la presentazione della domanda di riscatto e si conclude con l’accettazione e la comunicazione del prezzo da parte dell’amministrazione all’assegnatario in locazione, come previsto dall’ultimo periodo del secondo comma dell’art. 27 della legge n. 513/1977, il quale prevede che:<<Si considera stipulato e concluso il contratto di compravendita qualora l’Ente proprietario o gestore abbia accettato la domanda di riscatto e comunicato all’assegnatario il relativo prezzo di cessione qualora non previsto per legge.>>

Questa disposizione è stata considerata non quale costituzione di un vincolo contrattuale ma, invece, è stata ritenuta quale momento in cui sorge il definitivo ed incontestabile riconoscimento del diritto dell’assegnatario a conseguire la cessione a seguito della stipula di un valido contratto privatistico di trasferimento, quale è quello previsto dall’art. 28 <<Il trasferimento della proprietà ha luogo all’atto della stipulazione del contratto; a garanzia del pagamento delle rate del prezzo di cessione l’ente cedente iscrive ipoteca sull’alloggio ceduto.>>.

Il punto controverso da risolvere è, a fronte di un diritto soggettivo pieno suscettibile di esecuzione forzata ai sensi e per gli effetti dell’art. 2932 c.c. (come già affermato con la sent. n. 5689/2015 della Suprema Corte), se nel periodo eventualmente intercorrente tra l’accettazione e la comunicazione dell’amministrazione e la stipula del contratto di cessione possano intervenire dei fatti impeditivi sopravvenuti (come la decadenza o la revoca dell’assegnazione) in forza di un potere di autotutela della pubblica amministrazione.

La Corte ha indicato come risoluzione della controversia che non sussiste tale potere in capo all’amministrazione atteso che, a seguito dell’accettazione della domanda di riscatto e della comunicazione del prezzo, l’amministrazione esaurisce le proprie valutazioni e da tale momento il diritto di godimento dell’alloggio si trasforma in un diritto soggettivo pieno al trasferimento della proprietà dello stesso, al punto tale che prima dell’atto traslativo, non può intervenire la decadenza o revoca per fatti sopravvenuti, ossia che: <<in tema di cessione in proprietà di alloggi residenziali pubblici, laddove il procedimento attivato con la presentazione della domanda di riscatto si concluda con l’accettazione e la comunicazione del presso (determinato ai sensi della l. n. 513 del 1977, art. 28), da parte dell’amministrazione, con conseguente riconoscimento definitivo del diritto dell’assegnatario al trasferimento della proprietà dell’alloggio, suscettibile di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., si attua la trasformazione irreversibile del diritto al godimento dell’alloggio assegnato, condotto in locazione semplice, in diritto al trasferimento della proprietà dell’alloggio stesso, e, dovendosi presumere che l’esame dei requisiti soggettivi sia già stato effettuato dall’amministrazione, salvo il successivo atto pubblico di trasferimento della proprietà, non può intervenire, pima del suddetto atto traslativo, la decadenza dell’assegnazione in locazione, in relazione all’accertamento di determinati fatti sopravvenuti o scoperti successivamente da parte dell’amministrazione.>> (cfr. Cass. Civ. Sent. n. 3280/2021).

Il caso di specie è poi oltremodo interessante perché, oltretutto, era intervenuta la revoca malgrado fosse stato corrisposto dall’assegnatario il prezzo comunicato dall’amministrazione.

Il caso tik Tok

Il Garante della Privacy, dopo il decesso della bambina di dieci anni a Palermo avvenuto per asfissia a seguito della partecipazione della bimba ad una sfida su un social network, come da comunicato del 27 gennaio 2021, aveva avviato una istruttoria ed aveva disposto, d’urgenza, nei confronti del social Tik Tok il blocco immediato dei dati degli utenti per i quali non fosse stata accertata con sicurezza l’età anagrafica.

A quanto si è appreso, Tik Tok si è adeguata alle richieste del Garante prendendo alcuni impegni quali quello di rimuovere dal 9 febbraio 2021 tutti gli utenti al di sotto dei 13 anni, richiedendo la data di nascita per l’utilizzo della app, di avviare dei controlli e di avviare una campagna informativa rivolgendosi soprattutto ai genitori.

Comunque, l’Autorità, allo scopo di salvaguardare i minori, ha intrapreso una campagna, in collaborazione con telefono azzurro, allo scopo di richiamare i genitori ad avere un ruolo attivo di vigilanza e di prestare attenzione a quando verrà richiesta la data di nascita per l’accesso alla app di Tik Tok.

Alla luce di tutto questo e proprio perché l’attività di vigilanza dei genitori e di coloro che assistono i minori non deve mai venir meno, si è ritenuto di dare spazio a questa triste vicenda sperando che rimanga un tristissimo caso isolato.

L’eccezione di compensazione nel contratto di locazione ad uso non abitativo

La Corte di Cassazione, in una recente ed interessante pronunzia, ha considerato valida ed efficace una clausola pattuita nel contratto di locazione ad uso non abitativo da intendersi quale rinuncia all’eccezione di compensazione del deposito cauzionale.

La Corte non ha ritenuto coerente la critica mossa dalla ricorrente che dovrebbe valere “dopo il sorgere del credito, altrimenti mancherebbe l’oggetto del negozio” poiché ritiene che la predetta clausola si rapporti chiaramente alla fase esecutiva del contratto.

Ma è particolarmente interessante il principio sancito dalla Corte che :<<nel contratto di locazione ad uso non abitativo non sussiste una parte “debole” meritevole di particolare salvaguardia nella conformazione, appunto, del concreto sinallagma.>>.

Appare, perciò, evidente che una clausola di siffatto tenore non viene considerata contraria alle disposizioni normative in materia di locazione e, quindi, è sempre opportuna una assistenza tecnica nella redazione dei contratti di locazione.